Il Gancio – di Laura Lazzaroni

Cari ragazzi,
Scrivo a voi oggi quelle parole che avrei voluto sentire sussurrate all’orecchio durante i giorni più bui della mia storia.

Voi siete incontestabilmente il nostro futuro, continuiamo a dirvelo, a sommergervi di questo terribile compito, dandovi ben pochi strumenti per poter diventare quegli adulti responsabili e meravigliosi che noi non abbiamo saputo essere. Vi abbiamo concesso tutto ciò che di materiale possa esistere senza invitarvi a vivere davvero, dimenticando, per la nostra fretta quotidiana, che il vostro compito è diventare grandi.

Voi dovete trovare il modo di mangiare la vita, non da dietro le vostre tastiere nelle camere perfette, dove tutto è semplificato ma astratto. Dovete fare esperienza, capire cosa è cucito addosso a voi; fit dicono gli inglesi, e cosa non vi piace. È un cammino lungo, impervio, pieno di imprevisti ma anche di soddisfazioni. Esattamente come i sentieri di montagna, quei percorsi che ho riscoperto con alcuni simpatici amici di una curiosa associazione del mio bel paesello, i tizi del CAI.

Poco tempo fa mi hanno fatto una domanda guardandomi dritta negli occhi, quegli stessi occhi che oggi cercano di esser ancora stupiti dalle cose belle che accadono:
“Cosa è il CAI, cosa facciamo?”

EH BOH????? PERCHE’ IO???? (nel contempo mi guardavo intorno, sperando che il quesito fosse indirizzato ad altri, invece no).
È l’unica risposta che mi è venuta al momento. Però poi, pensandoci bene, una risposta io ce l’ho, posso raccontarvi cosa è ed è stato il CAI per me.

Ho attraversato momenti bui e difficili nella mia vita, periodi di malattia, attimi in cui ho dovuto ricostruirmi una vita intera perché quel che ne restava non lo riconoscevo più. In quei mesi, o anni, dei quali non voglio parlare, uno dei meccanismi che mi ha salvata è stato “il gancio”, cioè il mettermi in condizioni fisiche o mentali di potermi aggrappare a qualcosa che mi rendesse sicura e magari alla lunga, felice.

Un giorno veramente bruttino, tendente al peggioramento, ho preso coraggio ed ho composto un numero di telefono che mi era stato dato tempo prima, un’infinità di tempo prima, ma si sa, non si è mai pronti abbastanza per fare qualcosa di diverso o che ti sta scomodo, in ogni caso il telefono squilla e mi risponde Ezio.

Non ricordo una parola di quel che ci siamo detti, so solo che è riuscito a coinvolgermi in qualcosa proiettando il suo entusiasmo sulla mia perplessità, in qualche modo tutto suo, fatto sta che mi son trovata su un sentiero scivoloso accanto ad un ruscello con gli scarponi già sporchi di fango.
Abbiamo camminato su un sentiero, tutto in salita, non solo fisicamente.

Ho mangiato quell’ aria pungente e più respiravo (cercando proprio di non smettere perché erano anni che non camminavo; rischiavo di lasciarci le penne, ma davvero!) più mi liberavo delle brutture del mondo, quelle che opprimono l’anima, quelle che tolgono il fiato fino a portarti troppo spesso a crisi di panico.

Così un passo alla volta ho iniziato di nuovo a camminare, in sicurezza e ad avere nuove amicizie, pian piano ho costruito rapporti con altri membri del CAI e conservo mille ricordi bellissimi. Ho una memoria fotografica, quindi rivedo fotogrammi con la didascalia scritta in grassetto sotto. Li riguardo e li rivivo quando ne ho bisogno, perché sono quel gancio che mi trascina di forza fuori dalle pessime giornate ed è un posto mio, nessuno lo può alterare.

Vedo il Sentiero dei Fiori, l’ho fatto un paio di volte, vedo la felicità di mio fratello Andrea ed i suoi amici, ed Ezio che mi manda avanti
(- Laura fai il capofila!!!!  – io???? Ma Ezio sei serio????   chi mi conosce sa che non è il caso, mi perdo fuori dalla rotonda di casa mia) e poi mi richiama perché sto portando tutti nella direzione opposta, ovvio. Si ride di gusto tutti insieme.

Vedo l’alta via Gunthen Messner e quel rifugio infinito, a parere mio si spostava mentre cercavamo di avvicinarci, sotto acqua e fulmini, con me e Carlo a mangiare pane e mortadella dietro ad una siepe, nascosti, (non era ancora ora del pranzo), e beccati subito.

Vedo Paolo, che ho chiamato per due giorni Marco, in cima alla vetta con il casco tutto storto e sudato. Ancora non so come si chiama ma so esattamente chi è!

Vedo il rifugio Re Alberto, il Violet, vedo Marco, Silvia e me mentre parlo con una mucca (è vero, ho la foto).

Vedo il Parco delle Fucine di Casto, il mio bimbo che ride, Serafino che lo lancia tra due rocce appeso all’imbrago tipo salame e Marina che lo riprende e gli fa appoggiare i piedi sulle staffe.

Vedo Fabrizio, con il suo tipico aplomb inglese, che con infinita pazienza, per raggiungere Cima Sat, insegna ad utilizzare i moschettoni e incoraggia sulla Picasass sconosciuti in difficoltà. Li porta alla croce in cima e poi foto tutti insieme.
I ricordi son davvero molti, anche se il tempo è poco.

Non manca la fatica, siatene avvisati, nei primi 40 minuti di avvicinamento a qualsiasi percorso è una raccolta di maledizioni e dannazioni finché il fiato non si spezza (litanie di gruppo, in genere, stiamo preparando dei libretti appositi) e si deve esser preparati ed equipaggiati, non si improvvisa con la montagna.
Il CAI è bravo in questo, è nato per questo: riscopriamo la bellezza dello stare insieme anche facendo fatica, perché il paesaggio che ti gusti, l’aria che respiri, ti tende davvero una mano quando hai bisogno di tempo sereno nel quale ti senti sicuro e al sicuro.

Alla fine, voglio solo dirvi di vivere ragazzi, di buttarvi nelle relazioni, nelle amicizie vere, di cercare il contatto con il mondo, non è facile, non è garantito alcun risultato. Voi non mollate, non siate spettatori che si limitano a guardare quel che accade dalla poltrona, fatevi coinvolgere, fatevi sconvolgere, questo viaggio lo dovete fare, è necessario perché diventiate degli adulti consapevoli e forti e rendiate questo mondo un posto migliore. Voi siete la speranza, meravigliateci!

Non vi mancheranno i momenti brutti, a nessuno son risparmiati, ma se avrete il vostro “posto felice” questo vi potrà aiutare a superarli e vi renderà più forti.
Quindi cercatelo, per precauzione s’intende! Perché l’augurio è che possiate essere protagonisti e felici della vostra esistenza.

“Strada facendo vedrai che non sei più da solo, strada facendo troverai anche tu un gancio in mezzo al cielo, e sentirai la strada far battere il tuo cuore, vedrai più amore, vedrai.” (Baglioni)

Il mio gancio è questo: io sdraiata in un prato con il naso in su che guardo il cielo più blu che io abbia mai visto, con nuvole di ovatta sparse qua e là e tutt’intorno dei pini verdissimi e altissimi, riesco persino a sentire l’odore del bosco, sono felice.
Il CAI lo ha reso possibile ancora.

Buona passeggiata.

Laura Lazzaroni

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